venerdì 22 marzo 2019

Over 55 e obsolescenza delle competenze

L’aumento di lavoratori over 55 evidenzia la necessità di contrastare e, se possibile anticipare, i rischi dell’obsolescenza professionale, trasformando un “problema” in una risorsa per il sistema produttivo italiano
Condivido questo articolo di Mara Guarino


I trend demografici in atto costringono il mercato del lavoro a fare i conti con l’esigenza di interventi a sostegno dell’occupazione dei lavoratori over 55 che, complici l’aumento della longevità e il progressivo slittamento in avanti dell’età pensionabile, rappresentano una delle fasce d’età maggiormente in crescita in Italia sotto il profilo occupazionale. La forza lavoro invecchia, la durata media delle carriere professionali si allunga, mentre aumenta il numero di occupati italiani di età compresa tra i 55 e i 64 anni, pari a 569.287 nel 2000 e salito fino a 1.588.923 nel 2016: un dato quasi triplicato nel corso di un quindicennio che obbliga inevitabilmente a delle riflessioni.
Se un lato della medaglia è allora indubbiamente rappresentato dall'introduzione di misure mirate ad aumentare la flessibilità in uscita, dall’altra parte sembrano farsi sempre più urgenti strategie di job redesign utili a creare ambienti lavorativi più favorevoli agli occupati senior o al loro re-impiego. Strategie che non sottovalutino oltretutto l’importanza di offrire agli over 55 tutte gli strumenti necessari ad acquisire le skills, innanzitutto digitali, necessarie per restare al passo con la quarta rivoluzione industriale.
Una spinta alla digitalizzazione che offre importanti opportunità occupazionali, ma pone al tempo stesso questioni di non minor rilievo, prima fra tutte quella dell’obsolescenza delle competenze professionali. I dati dell’ultimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi mostrano come nelle imprese italiane la maggiore propensione alla digitalizzazione si sia effettivamente accompagnata a una maggiore creazione di posti di lavoro: in particolare, tra le cosidette “Digitali compiute” (alto capitale e alta digitalizzazione) e “Digitali incompiute” (capitale fisico medio-basso, basso capitale umano, alta digitalizzazione), un’impresa su due ha aumentato le posizioni lavorative di almeno il 3,5%, un valore superiore alla media complessiva e oltre cinque volte superiore a quello delle imprese non digitalizzate.
Come prevedibile, il traino è particolarmente forte per le professioni ICT ma, sebbene la digital transformation non abbia ancora “sconvolto” il mercato del lavoro in tutti i suoi settori (verosimilmente per l’ancora limitata permeabilità in alcuni ambiti), già si evidenzia, e non solo all'interno dei comparti ICT, un mismatch molto alto tra le competenze digitali e trasversali richieste e quelle effettivamente in possesso dei lavoratori.
In questo quadro, una particolare attenzione va riservata agli over 50: mediamente, il 40% della forza lavoro in Europa di quell'età non ha skills digitali, mentre il 14% non ne ha in misura adeguata. E, spesso, uno degli ostacoli maggiori alla fruizione digitale è oltretutto rappresentato dalla scarsa conoscenza della lingua inglese. Una risposta logica al problema risiede allora nella formazione: una soluzione apparentemente ovvia, ma in verità forse non così “scontata” se si pensa ai dati raccolti da IPSOS per Google, secondo cui nel biennio 2014-2016 solo il 14% dei lavoratori over 50 interessati dalla ricerca ha avuto la possibilità di fruire di attività formative in campo digitale.
Del resto, se il contesto produttivo è oggi tale da richiedere persino ai dipendenti più giovani un costante aggiornamento delle proprie conoscenze e capacità (anzi, l'attenzione nei confronti degli "over" ha forse in parte mascherato questo problema), la crescente presenza di lavoratori senior non può che rappresentare un’ulteriore spinta delle politiche attive per il lavoro, da una parte, verso modelli di formazione professionale continuativa on the job e, dall’altra, verso eventuali soluzioni di ricollocamento e riqualificazione realizzate a mezzo di formazione mirata e su misura. Il tutto senza sottovalutare il coinvolgimento attivo dei lavoratori stessi e la possibilità di instaurare un processo virtuoso di reverse mentoring, agevolando lo scambio di competenze non solo dai profili junior a quelli più senior, ma anche nella direzione opposta.

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 23/6/2018

giovedì 14 marzo 2019

Danni psicologici da social

Un video interessante che conferma quanto penso anch'io già da tempo...
In particolare mi sono convinto che a partire dai vecchi sms, per poi passare ai commenti dei social, ci sia stato un processo di progressiva riduzione della capacità linguistica di esprimere i propri pensieri.
Mi spiego, a scuola ci hanno insegnato l'analisi logica, grammaticale e del periodo; ora, tra i ragazzi avverto una difficoltà a produrre periodi con frasi principali e subordinate, anzi, a malapena si enuncia una frase, visto che si usa fin troppo abbondantemente l'emoticon.
Sembra sia diventato impossibile esprimere un pensiero complesso e per questo si comunichi sempre più a monosillabi...
La cosa mi lascia perplesso, ma gli effetti non sono ancora chiari e tanto meno eventuali rimedi.
Per il momento i comportamenti più saggi sono la prudenza e l'equilibrio nell'utilizzo dei social e dei moderni mezzi di comunicazione.