domenica 24 febbraio 2019

IKIGAI, la ragione di vita.

L'Ikigai (生き甲斐?) (iki-vivere, gai-ragione) è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "ragione di vita", "ragion d'essere".

L'Ikigai per l'appunto è un termine che, nella cultura giapponese, indica quel qualcosa che conferisce senso alla nostra vita, quella cosa per cui vale la pena alzarsi dal letto la mattina, qualcosa che rende la propria vita significativa e anche utile agli altri.

L'Ikigai non deve essere per forza una qualcosa di grandioso, come portare la gente su Marte o eradicare il cancro dalla faccia della terra.
Essendo un concetto squisitamente personale, capita spesso che le persone sviluppino un proprio scopo partendo da ciò che è accaduto alla propria famiglia o agli amici.
Pensa, ad esempio, a tutte quelle associazioni di beneficenza che vengono fondate dopo la morte di una persona cara e che si impegnano nel sociale.

QUAL E' LA STRUTTURA DELL'IKIGAI? 

L'Ikigai è formato da quattro elementi:

  1. ciò che ami fare,
  2. ciò che sei bravo a fare,
  3. ciò per cui puoi essere pagato,
  4. e ciò di cui il mondo ha bisogno.
E' l'insieme di passione, vocazione, professione e missione.


  • Fare qualcosa senza passione, sebbene si è bravi a farla, si venga pagati e il mondo lo richiede, ci fa sentire confortati ma anche vuoti. E' il caso di quei lavori che disprezziamo, ma che siamo "obbligati" a fare per sopravvivere.
  • Fare qualcosa senza saperla fare veramente, sebbene la si ami, si venga pagati e il mondo lo richiede, ci eccita ma ci dà anche insicurezza perché sappiamo che è tutto precario e che potrebbe svanire da un momento all'altro.
  • Fare qualcosa senza essere pagati, sebbene la si ami, si è bravi a farla e il mondo lo richiede, ci dà gioia ma anche frustrazione. E' la frustrazione di chi sente di essere speciale e che là fuori qualcuno sta sfruttando le sue abilità. E' il caso degli stage e dei volontariati infiniti, dove la persona non viene retribuita come meriterebbe.
  • Fare qualcosa che il mondo non necessita, sebbene la si ami, si è bravi a farla e si venga pagati, dà soddisfazione, ma anche senso di inutilità. Rientrano in questa categoria tutte quelle persone che, per arricchirsi, sanno di dover mentire e danneggiare il prossimo (o l'ambiente).


AVERE UN IKIGAI FA BENE ANCHE AL SONNO

Infine, avere uno scopo, e quindi un buon motivo per alzarsi dal letto la mattina, migliora anche la qualità del sonno, secondo alcuni ricercatori dell'Università di Northwestern.
Jason Ong, uno degli autori, afferma che dare uno scopo nella vita alle persone potrebbe essere una strategia anti-farmaco per eliminare tutti quei disturbi del sonno che caratterizzano la nostra società.
E tu, hai trovato il tuo Ikigai? E se la risposta è sì, qual è e come sta cambiando la tua vita?

venerdì 8 febbraio 2019

Il viaggio dell'eroe

In questo periodo non si fa che parlare di Bohemian Rhapsody, il biopic (biographical picture) sulla storia dei Queen e del loro leader Freddie Mercury.

Naturalmente la critica si divide e tra i fan c'è una spaccatura tra chi ne è entusiasta e chi invece è totalmente deluso anche per il fatto che nel film sono contenute alcune incongruenze con la realtà dei fatti.
Ammetto di essere anch'io un fan dello storico gruppo inglese, pertanto il mio giudizio non è esente da un certo condizionamento, ma cercando di essere più oggettivo possibile posso dichiarare che la verità sta (come spesso accade) nel mezzo.
Vi spiego meglio: il protagonista del biopic è Freddie Mercury e, nonostante la sia vita sia stata veramente avventurosa (la sua provenienza orientale, le sue attitudini sessuali, la sua creatività, il successo, le controversie, ecc.), non può essere esattamente e fedelmente riproducibile come trama di un film (che peraltro avrebbe un epilogo abbastanza triste...).
Se gli autori avessero rispettato pedissequamente la verità storica non staremmo parlando di un film, ma di un puro documentario biografico (con tutte le noie del caso).
Nasce quindi l'esigenza di "romanzare" le vicende e raccordarle a quello che è chiamato in gergo cinematografico "il viaggio dell'eroe".
In pratica, nella creazione della sceneggiatura si adattano i fatti oggettivi realmente accaduti alle esigenze di questo "viaggio" al fine di trasmettere emozioni agli spettatori.
Ecco di cosa sto parlando...

Come si può osservare dalla figura, il percorso inizia con la chiamata all'avventura che corrisponde al momento in cui Freddie entra nella band e prosegue attraverso l'incontro col mentore, in questo caso l'amante Mary Austin.
Fin qui tutto bene, ma poi si attraversa la soglia del conosciuto e, come sempre, quando si supera la zona di comfort, iniziano i problemi...
Pertanto, nel cuore del primo atto, si incontrano le prime difficoltà ricche di prove e fallimenti che, tuttavia, portano alla crescita del protagonista e allo sviluppo di nuove qualità. Nel film infatti i Queen stanno macinando successi sempre maggiori, ma con problematiche altrettanto complicate tra cui i rapporti con le case discografiche, il cambio di stile di vita verso il classico Sex, Drugs & Rock'n'Roll, i tour, e altri fatti che fanno da sfondo alla vicenda personale di Freddie che deve fare i conti con la sia identità sessuale.
Verso la fine del primo atto, si tocca però il punto centrale del film in cui avviene la cosiddetta morte e rinascita, ossia il momento di svolta dell'intera narrazione. In questo caso nascono una serie di problemi con gli stakeholders della band e tra i membri stessi dei Queen che attraversano un periodo di "pausa artistica", mentre nel frattempo aumenta dissidio personal e affettivo del protagonista che culmina con la scoperta della malattia.
La conclusione del primo atto è drammatica e fa riflettere su diversi aspetti psicologici e sociali non di poco conto.
Il secondo atto inizia invece con la rivelazione, ossia Freddie viene a conoscere la vera identità delle persone che aveva intorno e inizia un percorso di trasformazione attraverso il quale rimette insieme i cocci delle relazioni più vere, quella con i membri della band e quella con Mary, da cui non si è mai staccato veramente.
Entrando nel terzo atto, si assiste finalmente alla redenzione e al ritorno della situazione ottimale (salvo la malattia che in questo caso passa in secondo piano per ovvie ragioni di ... lieto fine)  con la splendida e indimenticabile performance sul palco del Live Aid.
Detto ciò si spiega come la regia abbia dovuto manipolare qualche fatto storico per esigenze di trama che altrimenti non avrebbe emozionato come richiede un film di queste proporzioni.
Da parte mia il giudizio è quindi molto positivo  perché grazie all'organizzazione degli eventi narrati è garantito il climax che porta a gustare in modo entusiasmante il gran finale sul palco. Inoltre gli attori sono stati scelti in modo impeccabile (alcuni praticamente sono dei sosia) e l'interpretazione di Malek è stata di altissimo livello.
Su tutto questo c'è inoltre la garanzia di Brian May e Roger Taylor che hanno supervisionato la realizzazione del biopic e quindi da fan di vecchia data mi allineo a considerare quest'opera un buon prodotto.